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Recensione alla silloge poetica “Voli a matita (dicotomie quotidiane)” di Nunzio Buono da "La Voce del Gattopardo" a cura della Redattrice Carla Maria Casula 7 dicembre 2017 Fin dagli albori della civiltà, saggi e guaritori si posero degli interrogativi in merito all’amore: è un dono celeste o demoniaco? È il rimedio che cura tutti i mali? Col trascorrere dei secoli divenne oggetto di vere e proprie indagini speculative ed esponenti del panorama intellettuale, quali poeti, aforisti e filosofi, originari dell’Asia, dell’Africa e della vecchia Europa, furono accomunati dalla smania di classificare il sentimento per antonomasia, di sezionare ogni sua presunta componente per approdare all’essenza. Ma, se le numerose teorie si sono rivelate antitetiche e i vari sostenitori di tesi stereotipate o bizzarre si sono sfidati a colpi di definizioni ed etichette, la consapevolezza della natura totalizzante dell’amore (espressa magistralmente dall’arguto gioco di parole di Emily Dickinson «che l’amore è tutto, è tutto ciò che sappiamo dell’amore») ha messo a tacere antiche diatribe, creando un’intesa virtuale tra i fautori di argomentazioni contrapposte. Ed è proprio la pregnanza che identifica l’amore, l’insita capacità di pervadere sia l’animo umano, sia l’ambiente circostante, il principio ispiratore e il leitmotiv della silloge Voli a matita (dicotomie quotidiane), nella quale Nunzio Buono declina, in tutte le sue accezioni e sfumature, il sentimento nobile per eccellenza. Ma non si pensi che l’elemento amoroso costituisca una presenza ingombrante o che imbrigli i lettori in una rete di tedio. Tutt’altro. L’amore è epifania quasi impalpabile che permea il flussodella vita quotidiana, è pulviscolo sottile, iridescente che si incunea negli anfratti dell’esistenza e traluce nei giri d’inchiostro. Filtra dal più flebile raggio di sole o dal guizzo di malinconia che alimenta i pensieri in sospensione. Vive in ogni impercettibile battito d’ali, respiro, silenzio, sguardo acceso di sorrisi o serata brumosa di novembre e viene sublimato nelle pagine, con la delicatezza e la peculiarità stilistica che contraddistinguono l’autore. L’artefice del filo poetico della raccolta, tra le venature dolceamare della quotidianità, è la piccola minadi grafite che, in questo contesto, non è simbolo di tratti vaghi o inesperti, ma rappresenta lo strumento prediletto dai bambini e dagli artisti per dare voce alla propria anima. E l’anima di Nunzio Buono è, al contempo, bambina e centro propulsore di creatività, e quella matita attraverso la quale il poeta compie ivoli metaforici nella sfera quotidiana, in armonico equilibrio tra vita vissuta e sogno, racchiude tutto lo stupore dell’infanzia e la capacità di rielaborare positivamente le ferite interiori e trasformare la spiccata sensibilità in punto di forza, lungo l’iter versificatorio che tocca alte vette liriche. |
NUNZIO BUONO
è un autore italiano, originario di Milano. Poeta, scrittore, recensore, ha all’attivo undici sillogi poetiche e numerosi riconoscimenti ottenuti in premi letterari nazionali e internazionali di notevole prestigio. È spesso ospite in diverse manifestazioni letterarie in diretta radiofonica con l’Australia, New York e l’America Latina ed è, inoltre, membro di giuria in vari concorsi letterari. È in corso d’opera la nuova pubblicazione dal titolo: Voli a matita (dicotomie quotidiane) edito da Helicon che verrà presentato il 20 Gennaio 2018 a Londra. |
Nel girotondo emozionale che scandisce il ritmo della consuetudine esistenziale, danzano le coppie oppositive identificatrici del corso della vita: il mattino e la notte, fili di luce e cortine di buio, primavere che spandono profumi e autunni densi di malinconia, dentro una sorta di reticolato con diverse gradazioni cromatiche. E in questa altalena chiaroscurale di dualismi, che si rinnovano in un ciclo perenne («/… / e dal riverbero si nasce per morire senza sosta. / Siamo l’eco dopo il punto / e tutto si ripete se rimani», tratto dalla lirica Se rimani), l’autore sembra ritagliarsi un “luogo-non luogo” dove il presente è ormai passato e il futuro è già presente. Assistiamo a un travaso di eventi lungo l’asse temporale, nel quale gioia ed echi di tristezza respirano all’unisono, generando così una sequenza priva di confini: «Verrai a cercarmi / nelle ore buie, dove sognavi. / … / È in questo silenzio / che ritrovo ogni attimo di me sulla tua pelle». (Ore buie). In questo modo l’alternanza delle fasi dicotomiche della vita e l’istantaneità vengono sospese: «/… / nasco / dove muoio a volte / dove vivi a volte / dopo ogni attimo». (A volte non mi basto… se ti basto a volte).
Dalle quarantuno liriche che compongono la raccolta traspare chiaramente la centralità della figura femminile, rappresentazione persistente ma discreta che, senza imporsi tramite dettagli strabordanti di fisicità, cammina in punta di piedi tra i versi e si affaccia con leggiadria allo scenario lirico. È presenza soffusa ma onnipervasiva: un alito di vento tra i capelli, un raggio di sole sul volto, la fugacità di uno sguardo e, ancora, un profumo, un colore, una voce, uno scorcio di paesaggio, le gocce di pioggia, un giorno di malinconia nelle parole taciute. Tutto è femminilità e la femminilità alberga in tutto ed è per l’autore sorgente continua di ispirazione: «Ho poesia delle tue labbra / … / La tua pelle si fa luce. (La sera di Bérangère), /… / I tuoi occhi / ricamano il paesaggio /» (Appartenenza). Quella che traspare dai versi è un’icona di sensualità ovattata ed elegante, un prototipo di seduzione spirituale e si dimostra un antidoto al dolore e all’infelicità ma anche uno stillicidio silente di disillusione, inoltre, per sottolineare il carattere ancipite del sentimento, rappresenta sia l’anima gemella del poeta, sia la sua antitesi. Si disvela come figura angelicata ma volitiva, capace di scandagliare la coscienza dell’autore e di farlo cedere alla vertigine del passato: «/… / Il tuo ritorno ha i miei passi confusi / le mie scelte sbagliate / e le offuscate intenzioni /»(Tracce). L’immagine femminile rappresentata ha il volto di diverse donne poiché, in realtà, rappresenta l’allegoria dell’amore, declinato in tutte le sue sfaccettature: armonia e fusione con la natura, affetto, tenerezza, amore filiale, attrazione spirituale e sentimento passionale che spazia dalla scintilla fugace all’amore agognato da una vita, che vive in un tempo senza tempo: «/… / Soli, noi / che abbiamo lo stesso sorriso degli alberi a primavera / quando sui rami / ci diamo alla stagione dell’amore / e siamo l’amore / quando siamo». (C’è troppo rumore). Nella poetica amorosa di Nunzio Buono non c’è posto per il dolore manifesto o scomposto, né per la rabbia e l’acredine, e perfino lo scoramento, il rimpianto struggente e la nostalgia che attanaglia i pensieri sono tracciati con tinte soffuse e delicate, in perfetta coerenza con l’armonia del complesso lirico, fatto di sonorità morbide che incantano il lettore. Da questa geografia sentimentale emerge con chiarezza una visione edificante dell’amore: le cicatrici interiori, provocate dalla sofferenza, hanno contribuito a raggiungere il pezzetto di felicità conquistato e hanno reso l’anima più empatica e sensibile.
Tra le connotazioni precipue della silloge Voli a matita (dicotomie quotidiane) possiamo senza dubbio annoverare l’utilizzo non canonicodelle componenti grammaticali e sintattiche. Con significativa padronanza degli strumenti linguistici, infatti, l’autore spezza la liturgia delle regole, dando vita a tutta una serie di norme personalissime che governano la classificazione, l’ordine e le relazioni tra i lemmi poetici. I versi diventano ricettacolo di sistemi eversivi come, per esempio, commistioni o scambi di categoria tra verbi transitivi, intransitivi, riflessivi e omissioni sia del verbo esclusivo, sia del verbo principale della proposizione unica o reggente: «/…/ camminando i tuoi sguardi /» (Aprile scopriva le ombre), «/… / ci siamo avuti. /» (Due ali per due), «La percezione del mio andare / come dopo le virgole /quando sosto l’attimo e seguo. /» (Rifletto il fiume), «/… / Il vento a pettinare i prati. /» (Di notte gli alberi). Per mezzo di questi artifici poetici di grande impatto, Nunzio Buono ha ottenuto una decisiva emancipazione dai quei vincoli normativi che minacciavano di ingabbiare il suo spirito creativo e ha rivendicato uno “spazio-officina” per forgiare i testi secondo criteri originali. Un’altra caratteristica che connota il corpus lirico è la brevità dei componimenti, che ben si accorda con i moduli sintattici non convenzionali. L’autore, infatti, in virtù delle sue spiccate doti espressive, riesce a condensare in pochi versi il messaggio poetico e palesa l’abilità non comune di estrinsecare il proprio ego artistico senza necessariamente dilungarsi nella versificazione. La spiccata intensità di alcuni versi, che si dimostrano perfettamente autarchici, fa di essi dei veri e propri componimenti a sé stanti: una micro-poesia dentro la poesia. Per esempio il verso «/ …/ Roma, una tazza di sole e di muse./», tratto dalla lirica Aprile scopriva le ombre, racchiude la magia del tepore primaverile tra le vie della Capitale, l’arte e il connubio con la mitologia greca. Suggestioni ultramillenarie che il poeta immortala in una manciata di parole.
Ma il vero fiore all’occhiello della silloge sono le combinazioni lessicali inedite, maliarde, audaci, nutrimento fecondo per l’immaginazione dei lettori, che sfilano in sequenze di sfumature cromatiche, voci e silenzi, profumi, immagini baluginanti o persistenti e sono amplificate in virtù delle multiformi e copiose figure retoriche. I versi, infatti, accolgono allegorie, similitudini, metonimie, sineddochi, allitterazioni e, ancora, assonanze, anafore, cascate di metafore ed espressioni ossimoriche. E poi una pioggia suggestiva di sinestesie, incastonate come gemme tra le righe: miriadi di percezioni sensoriali che s’intrecciano per condurre il quotidiano fuori dall’ordinario ed elevarlo sull’altare poetico: «/… / Mi sentirai con gli occhi che non vedono». (Non sarai da me domani), «/…/ La notte ha l’odore di stelle /» (Di notte gli alberi), «/…/ con il rumore delle nuvole. /» (Il rumore delle nuvole), «/… / e ascolti l’ombra del vento muoversi sul muro /» (L’eco dei tuoi occhi).
C’è l’infinito in miniatura, composto da tanti piccoli frammenti d’amore, dentro la raccolta Voli a matita (dicotomie quotidiane) e Nunzio Buono ci apre le porte di questo microcosmo intimistico, custode di circolarità, con immagini ed eventi che si ripetono e formano modelli di riferimento nei quali ognuno di noi, col proprio bagaglio di vissuto, può rispecchiarsi. Ma che cos’è l’amore? Non avremo mai una definizione univoca e definitiva.
L’autore ci offre la sua anima in versi, come voce ed eco di un sentimento onnipervasivo, autentico e a noi restano quarantuno piccole perle liriche che diventano materia ispiratrice di vita, riflessioni e sogni.
Dalle quarantuno liriche che compongono la raccolta traspare chiaramente la centralità della figura femminile, rappresentazione persistente ma discreta che, senza imporsi tramite dettagli strabordanti di fisicità, cammina in punta di piedi tra i versi e si affaccia con leggiadria allo scenario lirico. È presenza soffusa ma onnipervasiva: un alito di vento tra i capelli, un raggio di sole sul volto, la fugacità di uno sguardo e, ancora, un profumo, un colore, una voce, uno scorcio di paesaggio, le gocce di pioggia, un giorno di malinconia nelle parole taciute. Tutto è femminilità e la femminilità alberga in tutto ed è per l’autore sorgente continua di ispirazione: «Ho poesia delle tue labbra / … / La tua pelle si fa luce. (La sera di Bérangère), /… / I tuoi occhi / ricamano il paesaggio /» (Appartenenza). Quella che traspare dai versi è un’icona di sensualità ovattata ed elegante, un prototipo di seduzione spirituale e si dimostra un antidoto al dolore e all’infelicità ma anche uno stillicidio silente di disillusione, inoltre, per sottolineare il carattere ancipite del sentimento, rappresenta sia l’anima gemella del poeta, sia la sua antitesi. Si disvela come figura angelicata ma volitiva, capace di scandagliare la coscienza dell’autore e di farlo cedere alla vertigine del passato: «/… / Il tuo ritorno ha i miei passi confusi / le mie scelte sbagliate / e le offuscate intenzioni /»(Tracce). L’immagine femminile rappresentata ha il volto di diverse donne poiché, in realtà, rappresenta l’allegoria dell’amore, declinato in tutte le sue sfaccettature: armonia e fusione con la natura, affetto, tenerezza, amore filiale, attrazione spirituale e sentimento passionale che spazia dalla scintilla fugace all’amore agognato da una vita, che vive in un tempo senza tempo: «/… / Soli, noi / che abbiamo lo stesso sorriso degli alberi a primavera / quando sui rami / ci diamo alla stagione dell’amore / e siamo l’amore / quando siamo». (C’è troppo rumore). Nella poetica amorosa di Nunzio Buono non c’è posto per il dolore manifesto o scomposto, né per la rabbia e l’acredine, e perfino lo scoramento, il rimpianto struggente e la nostalgia che attanaglia i pensieri sono tracciati con tinte soffuse e delicate, in perfetta coerenza con l’armonia del complesso lirico, fatto di sonorità morbide che incantano il lettore. Da questa geografia sentimentale emerge con chiarezza una visione edificante dell’amore: le cicatrici interiori, provocate dalla sofferenza, hanno contribuito a raggiungere il pezzetto di felicità conquistato e hanno reso l’anima più empatica e sensibile.
Tra le connotazioni precipue della silloge Voli a matita (dicotomie quotidiane) possiamo senza dubbio annoverare l’utilizzo non canonicodelle componenti grammaticali e sintattiche. Con significativa padronanza degli strumenti linguistici, infatti, l’autore spezza la liturgia delle regole, dando vita a tutta una serie di norme personalissime che governano la classificazione, l’ordine e le relazioni tra i lemmi poetici. I versi diventano ricettacolo di sistemi eversivi come, per esempio, commistioni o scambi di categoria tra verbi transitivi, intransitivi, riflessivi e omissioni sia del verbo esclusivo, sia del verbo principale della proposizione unica o reggente: «/…/ camminando i tuoi sguardi /» (Aprile scopriva le ombre), «/… / ci siamo avuti. /» (Due ali per due), «La percezione del mio andare / come dopo le virgole /quando sosto l’attimo e seguo. /» (Rifletto il fiume), «/… / Il vento a pettinare i prati. /» (Di notte gli alberi). Per mezzo di questi artifici poetici di grande impatto, Nunzio Buono ha ottenuto una decisiva emancipazione dai quei vincoli normativi che minacciavano di ingabbiare il suo spirito creativo e ha rivendicato uno “spazio-officina” per forgiare i testi secondo criteri originali. Un’altra caratteristica che connota il corpus lirico è la brevità dei componimenti, che ben si accorda con i moduli sintattici non convenzionali. L’autore, infatti, in virtù delle sue spiccate doti espressive, riesce a condensare in pochi versi il messaggio poetico e palesa l’abilità non comune di estrinsecare il proprio ego artistico senza necessariamente dilungarsi nella versificazione. La spiccata intensità di alcuni versi, che si dimostrano perfettamente autarchici, fa di essi dei veri e propri componimenti a sé stanti: una micro-poesia dentro la poesia. Per esempio il verso «/ …/ Roma, una tazza di sole e di muse./», tratto dalla lirica Aprile scopriva le ombre, racchiude la magia del tepore primaverile tra le vie della Capitale, l’arte e il connubio con la mitologia greca. Suggestioni ultramillenarie che il poeta immortala in una manciata di parole.
Ma il vero fiore all’occhiello della silloge sono le combinazioni lessicali inedite, maliarde, audaci, nutrimento fecondo per l’immaginazione dei lettori, che sfilano in sequenze di sfumature cromatiche, voci e silenzi, profumi, immagini baluginanti o persistenti e sono amplificate in virtù delle multiformi e copiose figure retoriche. I versi, infatti, accolgono allegorie, similitudini, metonimie, sineddochi, allitterazioni e, ancora, assonanze, anafore, cascate di metafore ed espressioni ossimoriche. E poi una pioggia suggestiva di sinestesie, incastonate come gemme tra le righe: miriadi di percezioni sensoriali che s’intrecciano per condurre il quotidiano fuori dall’ordinario ed elevarlo sull’altare poetico: «/… / Mi sentirai con gli occhi che non vedono». (Non sarai da me domani), «/…/ La notte ha l’odore di stelle /» (Di notte gli alberi), «/…/ con il rumore delle nuvole. /» (Il rumore delle nuvole), «/… / e ascolti l’ombra del vento muoversi sul muro /» (L’eco dei tuoi occhi).
C’è l’infinito in miniatura, composto da tanti piccoli frammenti d’amore, dentro la raccolta Voli a matita (dicotomie quotidiane) e Nunzio Buono ci apre le porte di questo microcosmo intimistico, custode di circolarità, con immagini ed eventi che si ripetono e formano modelli di riferimento nei quali ognuno di noi, col proprio bagaglio di vissuto, può rispecchiarsi. Ma che cos’è l’amore? Non avremo mai una definizione univoca e definitiva.
L’autore ci offre la sua anima in versi, come voce ed eco di un sentimento onnipervasivo, autentico e a noi restano quarantuno piccole perle liriche che diventano materia ispiratrice di vita, riflessioni e sogni.